Ha ragione Luca Borzani quando scrive come per la sinistra sia difficile (impossibile) fare opposizione senza un disegno di città. L’afasia è nata nel momento in cui, per ignavia o negligenza della classe dirigente in senso lato—partitica, associativa, sindacale, imprenditoriale—, abbiamo smesso di confrontarci coi cambiamenti.
Come ha ricordato Marianna Pederzolli, non tutti a sinistra sono rassegnati all’assenza di contenuti. Il nostro gruppo, Genova che osa, ha sempre tentato di portare avanti proposte articolate. Riprendendo questo lavoro, provo a indicare tre suggestioni rispetto a quelle che ritengo siano le tre priorità cittadine.
L'articolo è stato pubblicato su la Repubblica.
Alcune proposte contro il declino
Ha ragione Luca Borzani quando scrive come per la sinistra sia difficile (impossibile) fare opposizione senza un disegno di città. L’afasia è nata nel momento in cui, per ignavia o negligenza della classe dirigente in senso lato—partitica, associativa, sindacale, imprenditoriale—, abbiamo smesso di confrontarci coi cambiamenti.
Per fortuna l’opposizione è precisamente lo spazio per chi vuole costruire un progetto di governo, immaginare un disegno innovativo e costruirci intorno delle alleanze ampie e vincenti. La proposta che serve non può consistere di una qualunque lista interminabile. È necessario partire da un puntuale riconoscimento delle trasformazioni in corso, che devono essere governate con una visione strategica e una prospettiva di medio e lungo periodo, lavorando sulle questioni principali senza disperdere energie in mille rivoli con l’obiettivo di restituire a tutti noi una città vivibile e sicura del suo sviluppo. Sia la polverosa nostalgia della sinistra per un ciclo socio-economico chiuso da decenni, sia la dispersiva e posticcia narrazione entusiasta di Bucci hanno la sola utilità di non mettere in discussione alcuno dei problemi essenziali e di alimentare lo scoramento degli elettori.
Come ha ricordato Marianna Pederzolli, non tutti a sinistra sono rassegnati all’assenza di contenuti. Il nostro gruppo, Genova che osa, ha sempre tentato di portare avanti proposte articolate. Riprendendo questo lavoro, provo a indicare tre suggestioni rispetto a quelle che ritengo siano le tre priorità cittadine.
Genova è una città vecchia. Fuori del luogo comune, significa 50 mila residenti con almeno 75 anni in più dal 1971; saranno altri 30 mila nei prossimi 35 anni applicando a Genova le proiezioni regionali dell’ISTAT. La crisi demografica sta nell’incapacità di reagire. La spesa per il welfare (troppo bassa: metà del valore mediano dei grandi comuni) ha bisogno di essere riqualificata, spostando sulla prevenzione, con programmi per accompagnare a un invecchiamento in salute e attivo senza dimenticare chi ha bisogno di assistenza. Gli anni della pensione sono un’occasione per abitare i quartieri, viaggiare, studiare, realizzare nuove esperienze, vivere indipendenti e non abbandonati. Per gestire la transizione demografica come un’occasione per attivare nuove energie ed evitare il collasso, il Governo francese ha adottato una strategia globale che tiene assieme la salute e i servizi domiciliari, i luoghi di vita, il tempo libero, le comunicazioni e i trasporti, la tecnologia. Il nostro comune dovrebbe fare altrettanto.
All’invecchiamento corrisponde la riduzione della popolazione giovane: 180 mila under 35enni in meno dal 1971, ulteriori 15 mila di qui a 35 anni. È un fenomeno globale e forse Genova ha solo anticipato una tendenza. La soluzione non è invitare paternalisticamente i giovani a far figli, ma dargli l’opportunità di vivere a Genova anche solo un pezzo della loro vita. Accoglienza e diversità sono le cifre condivise delle città europee che hanno contrastato il declino demografico e la nostra città ha bisogno di un saldo demografico migliore del dato nazionale. Creare opportunità per i giovani può coniugarsi col lavoro su un’altra grande fragilità cittadina cioè l’incremento degli spazi vuoti, abbandonati per effetto del declino demografico e industriale (in centro storico un appartamento su tre è vuoto). Quello di cui abbiamo bisogno è un piano di mappatura e recupero di luoghi, con lo scopo mirato di restituirli ad attività imprenditoriali e creative giovanili. È uno sforzo che il comune non può affrontare solo e richiede una forma di partecipazione civica per rimettere in circolazione quei tanti immobili dalla proprietà frazionata che costellano la nostra città. È anche uno sforzo che qualificherebbe in modo strategico i tanti interventi di recupero urbanistico immaginati nel tempo con una prospettiva che vada oltre la speculazione residenziale.
Legata ai temi precedenti è l’idea d’introdurre un reddito minimo cittadino. In una città sempre più stanca e povera aumentano le disuguaglianze e le situazioni di emarginazione: 13 mila contribuenti con un reddito oltre i 75 mila euro posseggono quasi una volta e mezzo la ricchezza dei 177 mila sotto i 15 mila euro. Il nuovo reddito d’inclusione (REI) non è adeguato a sostenere percorsi di vita autonomi, in particolare per i giovani che dovrebbero lasciare casa e avviare un’attività, ma il comune può approfittare della sua introduzione per completarlo con risorse economiche e servizi diretti in questo senso.
Senza allargare il discorso a ogni ambito—significherebbe non parlare di priorità—possiamo identificare altri temi. Dobbiamo guardare in faccia la realtà di Genova per quello che è, non quello che era o che raccontiamo, e programmare pochi, strategici e mirati interventi su cui lavorare in una generazione, che trasformino le fragilità in punti di forza prima che la crisi diventi irreversibile e riduca la nostra bella città a un paesotto di provincia.
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Facebook TwitterI vantaggi sarebbero molteplici:
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- ecc. ecc.
24/12/2017